giovedì 18 settembre 2008

IL PICCIONE - Patrick Suskind

Jonathan Noel non ama gli eventi, e odia addirittura quelli che turbano l'equilibrio interno e sovvertono l'ordine esterno del quotidiano. Vive in un sottotetto e lavora come guardia in una banca, percorrendo avanti e indietro i tre gradini antistanti l'ingresso, con la sola certezza che non possa più accadergli nulla di fondamentale se non, un giorno, la morte. Giunto all'età di cinquantatré anni, la condizione di quiete monotona e di assenza di avvenimenti è la sola cui egli aspiri, l'ideale di vita che persegue con cieca ostinazione, convinto com'è che negli esseri umani non si possa riporre fiducia e che si possa vivere in pace soltanto tenendoli alla larga. Poi, una mattina, uscendo dalla porta di casa, s'imbatte in un piccione: quell'animale apparentemente insignificante, che si limita a guardarlo immobile, incrina di botto l'esistenza di Jonathan, fa crollare tutte le sue sicurezze, gli sconvolge la vita. "Come tutti i simboli", osserva Pietro Citati, non dobbiamo tradurre il piccione "in un'altra lingua, ma rispettare la sua grandiosa lingua muta, e avvertire la minaccia - fisica e metafisica -, con cui aggredisce il nostro mondo". Ma quale sarà l'esito di tale aggressione? Il piccione s'imporrà come presenza malefica o avrà un effetto salvifico su Jonathan, strappandolo alla sua condizione?"Teneva la testa inclinata di lato e fissava Jonathan con il suo occhio sinistro. Quest'occhio, un piccolo disco circolare, marrone con un punto centrale nero, era spaventoso a vedersi. Era come un bottone cucito sulle piume della testa, privo di ciglia, privo di sopracciglia, totalmente nudo, rivolto all'esterno e mostruosamente spalancato senza decenza alcuna, ma nel contempo c'era in quell'occhio un che di riservato e di scaltro; e nel contempo non sembrava né aperto né scaltro, bensì semplicemente privo di vita come la lente di una macchina fotografica, che assorbe tutta la luce esterna e nulla riflette del suo interno. Nessun bagliore, nessun barlume c'era in quell'occhio, non una scintilla di vita. Era un occhio senza sguardo. E fissava Jonathan."

2 commenti:

assorbenti ha detto...

La discussione di questo libro avverrà venerdì 12 settembre

assorbenti ha detto...

Usuale partenza di discussione con un giro di commenti in ordine al "ti è piaciuto?/non ti è piaciuto?".
Hanno espresso apprezzamento per il libro Serena, Gabiella, Luisella, Liviana e Alessandro. A Marcello (pur avendolo solo sfogliato), Marinella e Cinzia Il Piccione invece non è piaciuto.
Il realismo della situazione
narrata (nel senso di realtà e diffusione di quel tipo di condizione) è stato sottolineato da Serena (che ha ricordato "Il fischio" di Pirandello per un'analoga vicenda di "caduta" che porta - in quanto scritto dal drammaturgo siciliano - alla pazzia), Gabriella (molti si
trovano in una situazione analoga a quella di Jonathan, protagonista
del romanzo) e Luisella che si è riconosciuta nella vicenda, anche per la sua nota "piccionofobia". Lo stile di scrittura è stato apprezzato da Gabriella e Luisella (le sembra uno stile quasi dell'800). Liviana prova tenerezza per Jonathan, anche per il dramma della scomparsa dei genitori vissuto nell'infanzia, e si domanda quanto delle vicende di
vita dello scrittore si ritrovino nella vicenda narrata nel libro.
Alessandro giudica Il Piccione come la descrizione paradossale della vita di molti che cercano di tenere sotto controllo la vita, con tutta la sua carica di necessario caos. A Marinella la storia non le diceva molto, la trovava molto lontana da sè. Cinzia ha sottolineato quanto
terribile e triste era l'esistenza del protagonista.
Alessandro segnala che la conclusione gli è sembrata un po' "veloce". Cosa ha condotto
Jonathan ad avvicinarsi in così breve tempo ad una possibile speranza di uscita da una vita "sicura" ma profondamente fragile? Nel dibattito seguente (in cui tra l'altro si è parlato di quanto diffusa sia una certa incapacità ad uscire da binari prestabiliti) c'è chi ha suggerito che la prospettiva di trasformazione di Jonathan venisse dalla sofferenza, chi da una maturazione radicata nel tempo, chi dall'improvvisa consapevolezza di cose prima evitate.