lunedì 26 gennaio 2009

LETTERA AL MIO GIUDICE - George Simenon

Una ragazza minuta, pallida, arrampicata su alti tacchi, nella vita di un uomo 'senza ombra', la cui esistenza, così normale, si avvicina sempre più al confine con l'inesistenza. E quella donna è l'ombra stessa, qualcosa di oscuro e lancinante al di là di ogni ragione, che conduce tranquillamente alla morte. Una storia carica di intensità, esaltazione e angoscia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il libro è piaciuto a tutti, tranne a Maddalena e Alessandra; Massimo e Isabella sono divisi nel loro giudizio .
Le ragioni di Maddalena sono: il personaggio entra sempre più nelle convenzioni, soprattutto non libera mai la sua idea della donna da immagini stereotipate, anzi vi si immerge sempre più.

Isabella chiede una definizione dei concetti chiave di passionalità, amore, ecc.. che però, benchè necessaria per chiarire la discussione, non verrà fornita, a causa della discussione sempre più “caliente”.

C'è chi vede la figura di Armande positiva, la legge come una donna capace di amare e di scegliere, di prendere decisioni, di fare analisi (vedi episodio della meningite della figlia o la presa in carico della famiglia del protagonista),anche se qualcuno vi legge alcuni elementi piccolo borghesi. Ci si schiera citando elementi pro e contro. Nel complesso è una figura che viene letta positivamente , ma il protagonista e anche lo scrittore non la apprezzano.

Quasi tutti giudicano il protagonistra un vile che giudica tutti o, correzione di Isa, osserva tutti.
Massimo cita favorevolmente la figura della madre.

C'è un 'analisi delle varie figure maschili e femminili: il giudice, il padre e il protagonista, e delle relazioni che vi intercorrono, si coglie l'immedesimazione col giudice ( vedi il momento della telefonata ecc); le varie serve, la prima moglie, la donna che durante la visita crea la situazione di provocazione, ecc.., vengono citate, si sente che il femminile scritto da Simenon “possiede” tutta la complessità del protagonista.

Cerchiamo di rispondere alle domande di Alessandro.
Si comprende la possibile immedesimazione nell'antieroe che non vive, ma questa situazione è esasperante, (soprattutto per me). E' veramente un non vivere quello del protagonista che determina frustazione e impaludamento.
Non comprendiamo la necessità del suicidio finale, contraddittorio anche perchè lui dice che Martine avrebbe continuato a vivere attraverso lui.
Si analizza il trauma di Martine, la sua storia e le reazioni( esagerate) del protagonista.
La discussione è veramente proficua, soprattutto chiarisce equivoci e ridimensiona le immagini e dubbi che una lettura, evidentemente affrettata, mi avevano fatto pensare che Martine fosse stata iniziata alla prostituzione, mentre alla luce di una lettura collettiva più accurata si conferma un banale gioco erotico di autoerotismo fra bimbe e la spasmodica ricerca che ne deriva per trovare un piacere che le verrà dato di provare solo molto più tardi col protagonista.
C'è uno scambio di domande sulla sessualità femminile e sulla incapacità di lasciare una storia di botte e follia.

antonella zatti ha detto...

Segnalo un post sul tema, sperando di fare cosa gradita:

http://khayyamsblog.blogspot.com/2009/02/giallo-paura-simenon-lartigiano-del.html