lunedì 2 novembre 2009

DONNA PER CASO - Jonathan Coe

Il libro è sottile, breve; in copertina la presentazione lascia supporre una storia strana e non attrae. Per tre quarti del libro si va avanti per inerzia aspettando che accada qualcosa di illuminante. Maria ha intelligenza, ha una infanzia felice alle spalle, e all’inizio del libro sta per lasciare la sua casa per il college universitario: Maria soprattutto ha grandi possibilità davanti a sé.
Poi Coe comincia prendersi gioco di lei: un susseguirsi di eventi catastrofici e grotteschi trasformano la vita di Maria in un fallimento.
Per tutte le poche e bizzarre pagine del libro la vita le si abbatte addosso con crudeltà casuale.

8 commenti:

Massimo ha detto...

L'incontro per questo libro sarà venerdì 20 novembre a casa di AlessandrO

Marinella ha detto...

Le proposte per il libro di Dicembre sono:

IL RISVEGLIO Kate Chopin (io ho un edizione Marsilio, in internet ho trovato disponibile Lumina Mundi.......)
Caduto nell’oblio e riscoperto alla fine degli anni ’60, “Il risveglio” è oggi considerato un classico della letteratura americana. Lo ha pubblicato l’editore Galaad di Giulianova.
Pubblicato nel 1899, “Il risveglio” fu accolto con indignazione per l’anticonformismo con cui l’autrice, Kate Chopin, affrontava il tema della fisicità femminile, dell’adulterio e in generale del ruolo delle donne nella famiglia e nella società dell’epoca; ma, soprattutto, per il modo originale con cui raccontava, senza facili moralismi, la metamorfosi della sua protagonista, Edna Pontellier, giovane moglie altoborghese di New Orleans che, durante una vacanza al mare con la famiglia, si rende conto di aver vissuto un’esistenza che non le somiglia.
Inizia così per Edna un lento “risveglio” fisico, psichico e intellettuale che la indurrà a rifiutare la morale delle apparenze e l’ipocrisia di certe convenzioni sociali per intraprendere un solitario percorso di riappropriazione del proprio sé.
Caratterizzato da una lingua essenziale, ma fluida e vibrante, densa di immagini simboliche, “Il risveglio” si distacca dagli stereotipi del romanzo d’adulterio ottocentesco, delineando la figura di un’ “anima solitaria” che, sfuggente e indefinita all’inizio del romanzo, assume pagina dopo pagina un’identità sempre più complessa, svelandosi al lettore e a se stessa.
E così, anche se Edna s’innamora del giovane Robert e intrattiene una torbida relazione adulterina con un altro uomo, né l’uno né l’altro eserciteranno un vero influsso liberatorio su di lei, perché il risveglio di Edna nasce da un altro incontro, quello con “le forze rigeneratrici della natura”, che nel romanzo ci appare pura e selvaggia, pervasa da una suadente, ipnotica musicalità, come nei romanzi di Melvile e nelle poesie di Emerson e Whitman.
Irène Némirovsky

Marinella ha detto...

2a proposta:

PRESENZE Jerzy Kosinski (Feltrinelli)
Da un Grande Romanzo che divenne un grande film Presenze di Jerzy Kosinski a Oltre il giardino di Hal Ashby “E’ un uomo senza sé, senza una personalità riconoscibile. Spesso mi ritrovo a pensare a quest’uomo…a come deve essere meravigliosa la sua vita: non ha futuro né passato, nessuna responsabilità. E’ semplice!”. Così Peter Sellers descriveva il suo personaggio: Chance il giardiniere, protagonista del film di hal Ashby Oltre il giardino (1979). Intelligente e graffiante critica alla società americana degli anni ’80, apologo su una civiltà che lentamente si sgretola soffrendo i mali della teledipendenza. Il film è uno dei pochi esempi di riuscito adattamento realizzato dall’autore del romanzo dal quale è tratto. Il polacco Jerzy Kosinski, che ebbe un’infanzia infelice, fu apolide e non sviluppò i mezzi della comunicazione verbale fino all’età di 11 anni. Col suo romanzo Presenze (1971) indaga sull’incomunicabilità e crea un protagonista significativo quanto inutile e serve su un piatto d’argento, all’irriverente Ashby, una sceneggiatura su cui sviluppare un lavoro registico eccezionale.
La storia di Chance è quella di un uomo rimasto fino a 50 anni isolato nella stupenda villa del suo anziano padrone, a New York. E’ analfabeta e si “nutre” solo di televisione, il tubo catodico è il suo unico svago e anche il solo mezzo che lo tiene in contatto con il mondo reale per non sprofondare in un totale autismo. È un abile giardiniere e cura il parco della villa con grande amore e dedizione. Quando il suo amato padrone muore, i suoi eredi licenziano la servitù e Chance si ritrova solo per la strada. Vagabondo per la grande città viene investito da una lussuosa macchina appartenente a un ricco industriale, nonché amico del presidente degli Stati Uniti. Questi, pensando che il giardiniere sia un uomo saggio e delicato, lo elegge suo consigliere. In poco tempo tutti lo considerano un arguto intellettuale, al punto che i suoi sconnessi discorsi sul giardinaggio vengono scambiati per geniali consigli per l’economia del paese. Alcuni lo vorrebbero candidare alle presidenziali, ma lui, anima pura, è felice nello svolgere le amate mansioni di giardiniere.
Kosinski modellò il personaggio di Chance, antesignano di Forrest Gump, dal dialogo di un floricoltore nel Riccardo II di William Shakespeare, che paragonava la professione della politica alla pratica del giardinaggio attraverso metafore. Peter Sellers, con la sua magnifica recitazione, diede il migliore dei volti ad un personaggio apparentemente senza anima. Oltre il giardino è un film del 1979, ma non per anacronistico, anzi ha molte più cose da comunicare adesso di quante ne aveva 20 anni fa. Fu il primo ad analizzare una società dell’immagine che non crea mostri, ma geniali, candidi, “idioti”.

Marinella ha detto...

3a proposta:

LA MOGLIE DI DON GIOVANNI Irène Némirovsky (Adelphi, 2006 - pagg. 46, euro 5,50)

Una moglie senza bellezza, un marito tropppo bello: un duello che porterà alla tragedia. Ritratto al femminile, racconto crudele e perfetto di Irène Némirovsky sulla vita, sull'amore, sulla verità.
L’escamotage narrativo è quello di una lunga lettera: una lettera scritta in più giorni dove un’anziana domestica, Cleménce, rivela a una giovane madre i segreti della sua famiglia.
La ragazza si chiama Monique. Era figlia di una donna dell’alta società parigina – ricca, sgraziata, di un’intelligenza irrequieta ma docile – e di un uomo bellissimo, una sorta di nobile decaduto senza un soldo che faceva del fascino la sua sola ricchezza. Lui si chiamava Henry, ma la sua creatrice – Irène Némirovsky – gli dà il nome che più di ogni altro lo può connotare: don Giovanni.
Nome che evoca notti alla ricerca di una qualsiasi gonnella, di amori saltellanti e fugaci, di sfida con l’assoluto e con la morte per obbedire alla propria irrinunciabile natura di libertino. “Lui”, don Giovanni, lo conosciamo bene. Ma di “lei”, del suo complemento femminile, non ha mai scritto nessuno.
Ci ha pensato questa autrice franco-ucraina, da pochi anni salita alla ribalta delle classifiche italiane con lo strabiliante Suite francese. Irène Nemirovski – morta ad Auschwitz nel ’42 – aveva perfezionato il suo meraviglioso francese letterario in pochissimi anni, da quando, travestita da contadina, era scappata da Kiev per arrivare a Parigi. Molti racconti pubblicati qua e là, un romanzo d’esordio (David Golder) che stupì il suo editore per la capacità di penetrazione psicologica. La Nemirovsky apparteneva al mondo dell’alta borghesia ebraica, lo vezzeggiava e lo detestava. Soprattutto detestava la madre, figura di donna arrivista e fredda che più di una volta percorrerà i suoi scritti.
Molte delle opere della Nemirovsky (la maggior parte delle quali ancora non sono state tradotte) parlano al femminile, e riproducono un’immagine ora benigna e ora maligna – ma sempre complessa – di quella donna che era la stessa autrice e del suo incompiuto tentativo di dialogo con la madre.

Marinella ha detto...

Ed ecco il nostro racconto, La moglie di don Giovanni. Nessuna ambientazione sei-settecentesca: siamo nei primi decenni del Novecento. Clemènce racconta di quando era giovane e lavorava come camerista presso la madre della piccola Monique, quella signora che tutti compiangevano per i ripetuti tradimenti del marito e tutte invidiavano per la fede nuziale che la legava allo stesso, entusiasmante marito. Lei si comportava come una moglie irreprensibile e come una madre attenta, anche se non particolarmente disposta ad elargire ai figli quel calore che le negava il consorte. La Némirovsky l’ha tratteggiata con poche pennellate incisive: una donna immobilizzata tra la consapevolezza del suo poco fascino e l’orgoglio cui la obbligava la sua casta. Silenziosa, quasi invisibile, sempre all’altezza del proprio compito.
Ma qualcosa la scosse dal torpore: una relazione di Henry più seria del solito, il pericolo di abbandono del tetto coniugale. Tutti sapevano che l’uomo era quasi disposto a lasciare moglie, figli e patrimonio per rischiare una nuova vita con una giovane baronessa. Tutti erano talmente accecati dal suo fascino prorompente da non accorgersi mai di quello che covava la moglie. Se la psicologia di questa donna si rivela pian piano nella sua complessità e nei suoi abissi, quella del marito – pur con la sua allegria, la sua generosità, la sua bellezza – rimane piatta: un bel soprammobile.
La Némirovsky, attraverso al voce e i ricordi di Clemènce, gioca a ribaltare le parti, allo smascheramento della rispettabilità borghese e dei suoi valori, a destare interesse proprio lì dove la società vede grigiore: in questa donna remissiva e brutta. Il destino è in agguato: una donna di tal fatta era disposta ad accettare di tutto, tranne che si ridesse di lei. Ed è proprio quello che farà il marito durante una gita in macchina, con esiti fatali che non sveleremo.
Chissà se la signorina Monique si ricorda di quel periodo e dei suoi drammatici fatti? Probabilmente sì, ma di sicuro non conosce i suoi retroscena, quello che successe veramente. Cleménce non ha finito di raccontare: i segreti sono ancora molti in questo melodramma dello smascheramento, e vale veramente la pena di leggere il racconto per scoprirli.
La lunga lettera è l’eredità di Clemènce, il lascito finale di una donna che sta morendo di cancro a un’altra donna che ha da poco scoperto la maternità. L’unica eredità possibile, potremmo dire: quella della verità. Una verità svelata attraverso il filo del femminino, quel filo che consente di condensare qualsiasi distanza spaziale e temporale per mettere tutto a nudo. Senza ipocrisie, senza teorie.
Un piccolo gioiello. La moglie di don Giovanni sfrutta una storia classica e si articola sul noto triangolo lui-lei-l’altra per scardinarli dall’interno e cambiarli completamente di segno. Tratteggia tutta una classe sociale e i suoi protagonisti con una straordinaria capacità di sintesi. S’impadronisce delle letterature francese e russa per costruire un racconto che gioca mirabilmente con i piani temporali e con le generazioni. E, infine, emoziona in poche pagine.

assorbenti ha detto...

presenti: AlessandrA, Mirella, Donatella, Massimo II, Giovanna, Oscar, Marinella, massimo frico, AlessandrO

scelto da Mirella per scrittura veloce ironica, understantment inglese. le piacciono i personaggi: le sembra che al narratore Maria sia antipatica raccontando solo quello che gli fa comodo sottolineando le cose negative senza valorizzare le positive.
Positivo che Maria ogni volta ricomincia da capo. Il personaggio strano sono i vari personaggi attorno, pieni di luoghi comuni. Maria sopporta le situazioni attorno a se. All'inizio del libro si nota una progettualità degli adulti che i giovani non hanno ma questo è dovuto all'età non ad una mancanza di maturità. I personaggi rappresentano fatti e persone che è facile trovare attorno tutti i giorni.
Piaciuti frasi brevi, ironiche e legate al presente, alla reltà.
piaciuto: Massimo frico, AlexO, Oscar, Giovanna, Max II. AlexA e Marinella (ni). No per Donatella e Maddalena.
AlexA: Maria è algida e l'autore la dipinge così. Questa cosa è terribile. è assurdo il fatto che Maria non provi sentimenti per la perdita del figlio.
La disturba la freddezza del personaggio, non dichiarare le emozioni. Sembra che l'autore voglia lasciare il lettore alle conclusioni. per questo lascia le situazioni in sospeso. Si dibatte se il l'uomo ucciso dall’amica sia l'uomo che Maria amava.
Si dibatte sulla casualità: Maria si lascia andare, non prende decisioni, si lascia vivere. Sceglie il marito senza entusiasmo. Il libro non la lascia indifferente anche se la irrita.
Donatella: non è piaciuto nè come scrittura nè come contenuti. La disturba che Maria si lascia vivere accettando passivamente le situazioni. Maria è incapace di vivere le situazioni più normali sia tra le persone sia nei fatti della vita. E’ sempre distaccata. Lascia tristi la potenzialità di una persona che non si esprime, una vita incompleta dal punto di vista emozionale più che rispetto ai successi della vita. Livello di emozioni superficiale e incompleto. Il libro le ha lasciato tristezza.
il finale non tradisce il resto del libro perchè rimane aperto.
Maddalena: non è piaciuto il libro. Concorda con Donatella. Il libro non le ha lasciato nulla. Personaggi allucinanti e lo è anche la visione del narratore, troppo forte su eventi crudi come la violenza del marito sulla moglie. E’ irreale che Maria viva apaticamente.
La mamma di Maria alla fine dice una frase tragica che ha l'hanno lasciata senza nipoti con Maria che ha lasciato il figlio al marito e il fratello è gay.
Trova tragici certi passaggi (la vecchietta che sorride mentre Maria pensava ad altro). Per AlessandrO è positiva l’ironia inglese che alleggerisce situazioni pesanti. Un libro con situazioni molto drammatiche smorzate dal linguaggio. L’ironia esprime un linguaggio opposto alla situazione descritta. E’ tragica la situazione in cui Maria cerca sostegno nell'amica durante una cena e questa pensa ad altro.
il libro si divide in tre parti: la prima calma piatta , la seconda esplosiva e la terza tragica.
Massimo II: amante di Coe ne ha letto diversi libri. Con questo libro (il terzo) l'autore ha una parabola dall'ironia del primo alla tragicità dell'ultimo, questo è a metà. Per Coe Maria non deve essere simpatica. E’ una persona come tante che sono così. Alle volte lo trova troppo freddo e distaccato ma in generale gli piace questo stile. c'è del sarcasmo e dell'ironia. La prima parte è poco riuscita.
La parola a pagina 77: è un mistero. Dalla testo inglese Oscar segnala “pride” mentre in italiano è tradotto “prudenza” anche se dall'inglese dovrebbe essere orgoglio.
Giovanna: Ven Assel ha un percorso contrario: dalla serietà all'ironia al delirio. Il libro gli è piaciuto per l'ironia e l'umorismo della scrittura. l'autore 'odia' Maria. Secondo G. il libro è scritto per rabbia nata da un'esperienza personale. Cosa ha provato a scrivere questo libro? Secondo G. non ha amato quello che ha scritto.

assorbenti ha detto...

Per Mirella non voleva scrivere una storia d'amore ma una descrizione dell'ambiente anni 70 e 80 sull'umanità delle persone. Non dobbiamo giudicare il libro per come vorremmo il personaggio ma dobbiamo vederlo dal punto di vista dell'autore. Non dobbiamo giudicare per come avrebbe dovuto scrivere. L’autore dà il suo punto di vista.
Secondo G. è un livore verso qualche storia personale. G. trova triste che Maria abbia studiato e non abbia mai usato i suoi studi finendo a fare lavori degradanti addirittura il giornale femminile gestito da uomini con pseudonimi di donna.
Oscar: all'inizio stava per mollare. I personaggi erano senza coinvolgimento poi il seguito scoppiettante l'ha fatto continuare. L'ironia secondo lui su certi argomenti deve essere ben bilanciata per non offendere. Maria si trova bene con persone come lei che sono indifferenti. Le persone che la amano la mettono in difficoltà. E’ stato molto gustoso leggerlo in inglese cogliendo le finezze della lingua. Le ultime parole del libro gli lasciano dubbi. l'autore lascia in sospeso quello che potrebbe essere l'evoluzione del personaggio.
Marinella ha dei dubbi sul libro: avrebbe abbandonato il libro all’inizio. A seguire il racconto propende per il bello, rivaluta Maria. Il personaggio viene lasciato in sospeso. Situazioni non chiarite nel libro lasciano al lettore il giudizio. L'io narrante racconta con cinismo la situazione e Marinella lo vede come positivo. L’artificio che rende interessante il libro è che l’io narrante sospende, lascia il dubbio non vuole dire come vanno le cose. L'io narrante è un personaggio del libro non è l'autore stesso.
AlessandrO: colpito dal finale sereno: nelle ultime righe Maria è definita per quello che è: sola e indifferente. Gli è piaciuta l'ironia del libro in genere. La negatività dell'io verso Maria è parte dell’ironia del libro. L'esasperazione serve per mostrare meglio i fatti della realtà. Il libro è discontinuo. Giovanna ha letto il libro volentieri fin dall'inizio.
Massimo frico: l'ironia e la freddezza non sono incapacità o mancanza di sensibilità ma un voler rendere una situazione.
Mirella non vede l'indecisione di Maria che in genere non sopporta nelle persone. Maria riesce simpatica e l'io narrante dà fastidio.
L'epilogo del libro sembra essere una vita piatta catatonica.

Giovanna ha detto...

vorrei precisare solo una cosa...
Lo scrittore a cui mi sono riferita, come esempio di autore che comincia a scrivere in modo serio e drammatico poi strada
facendo sviluppa una visione dapprima ironica poi comica poi grottesca fino ad arrivare al delirio, non è "Ven Assel" ma Sven Hassel... un danese dello Schleswig Holstein che, quando fu conglobato dalla Germania, si trovò a dover combattere per Hitler durante la Seconda
Guerra Mondiale. E' l'autore, tra l'altro, de "I dannati di Cassino", che poi divenne un film. Una precisazione che sentivo di dovere all'autore, che ho molto amato negli anni Ottanta.